martedì 8 luglio 2014

Intervista ad Aldo Patriarca, discografico ed autore di "Una vita a 45 giri"


Aldo Patriarca, romano e romanista verace, ha svolto per quarant'anni circa la professione di discografico in Italia. Partendo dal Cantagiro negli anni sessanta, passando attraverso le più acclamate manifestazioni musicali in Italia ed all'estero, ha tracciato un percorso contrassegnato da svariati successi professionali conseguiti come promoter per le principali case discografiche italiane, arrivando ad assumere l'incarico di Direttore artistico in cinque edizioni del Festival di Sanremo.

Recentemente ha scritto per la Minerva Edizioni di Bologna  il libro "Una vita a 45 giri"  che raccoglie i racconti, gli aneddoti ed i ricordi della sua lunga e fortunata carriera.

In un soleggiato pomeriggio romano ho avuto il piacere di incontrarlo dopo la recente pubblicazione del libro.  Parlando con lui della sua opera ho potuto affrontare alcuni aspetti del mondo della canzone che da tempo mi incuriosivano.

L'incontro è stato lungo e stimolante e grazie alla grande disponibilità di Aldo abbiamo toccato  diversi argomenti esclusivi che ritengo possano interessare a tutti  gli appassionati della musica leggera italiana ed internazionale. 

 

Aldo Patriarca
 

Intervista ad Aldo Patriarca

 

 

Nel libro che hai recentemente scritto e presentato, "Una vita a 45 giri",  racconti della tua vita professionale come promoter discografico e direttore artistico delle principali manifestazioni musicali italiane. Un percorso che ti ha portato in contatto con i più grandi artisti e che penso corrisponda all'evoluzione che la musica internazionale ha compiuto dagli anni sessanta ai novanta.

 

E’ vero e credo che questo libro non sia diretto soltanto agli addetti ai lavori ma possa essere apprezzato anche dal grande pubblico.
Vorrei però cominciare partendo dal titolo del libro, io lo avrei intitolato "Da San Pietro a Sant'Ambrogio passando per Sanremo", perchè volevo sottolineare il mio percorso professionale che mi ha portato dalla Rca di Roma alle case discografiche milanesi , inserendo anche Sanremo in quanto ho fatto ben ventiquattro Festival sia come discografico che come direttore artistico. Alla fine, sotto consiglio dell’editore, l’ho comunque inserito come sottotitolo.

 


Il tuo racconto inizia  con la Rca Italiana, la tua prima casa discografica.  Tu  nel libro l'hai descritta come  l’Università del disco. Cosa hai imparato in quella scuola?

 

Devo dire che in Rca ho imparato un mestiere. Perchè era una casa discografica a ciclo completo, gli americani che l’avevano costruita sulla via Tiburtina avevano pensato in grande. Li poteva entrare un giovane di piene speranze e dopo aver passato il provino firmava il contratto e poi poteva subito registrare il brano più adatto. L’artista trovava lo studio con tutta l'orchestra diretta da arrangiatori del calibro di Ennio Morricone e Bacalov.  A seguire, sempre all’interno, veniva realizzata la copertina del disco e una volta pronto il brano,  attraverso un processo galvanico, si passava dal nastro allo stampaggio dei dischi. Appena prodotti  i dischi venivano inseriti nelle copertine, impacchettati e caricati  nei camion, sempre di proprietà della Rca, che rifornivano le nostre dieci filiali  dislocate in tutta Italia.
Considera che le altre case discografiche,  la Ricordi, la Durium, la Ariston, la Rifi e tutte le altre avevano solo degli uffici dove selezionavano i cantanti  ed i brani, ma per registrarli erano costrette ad affittare uno studio e anche per stampare i dischi dovevano rivolgersi ad uno stabilimento. E’ per questo che  ho scritto che è stata un'università per me, perchè ho fatto ed imparato ogni cosa, pensa che ho collaborato nella realizzazione di alcune copertine e anche di tutti i cartonati che utilizzavamo per allestire le vetrine dei negozi. Ed infatti ho cominciato proprio facendo il vetrinista. Quindi in Rca ho imparato il mestiere del discografico e questo mi ha aiutato per tutta la mia carriera.

 
Un lp della Rca brasiliana con una bella veduta degli stabilimenti Rca




All'epoca fu pubblicato un 45 giri di un cantante romano ai suoi primi esordi: "Non basta sai" di Renato Zero, cosa ricordi di quel disco?

 

Intanto ti dico che oggi quel disco di Renato Zero è rarissimo e io ce l'ho, è una copia promozionale fatta appositamente per la Radio e la Tv , la foto della copertina  è stata fatta alla Rca,  il muro di mattoni è infatti quello degli stabilimenti di via Tiburtina.  Ne avrà vendute non più di un centinaio di copie e oggi lui non ne ha neanche una. Quando ha saputo che avevo il disco, me lo ha subito richiesto ma ho dovuto dirgli di no perchè sono molto affezionato a quegli anni  e per me quel 45 giri rappresenta molto.

 
Il primo 45 di Renato Zero

Quante copie furono stampate?

 

Quel singolo ebbe una tiratura molto limitata. All'epoca la Rca per il debutto di un giovanissimo cantante non stampava molte copie,  il disco era prodotto da Gianni Boncompagni  che aveva già inciso due 45 giri con il nome di Paolo Paolo, tra i quali "Prendi il mondo così", che era il leitmotiv di un film con Nino Manfredi di cui non ricordo il titolo.

 

Dopo la Rca c'è stato il passaggio  alla Phonogram di Milano.

 

La sede della Phonogram era a Milano ma io comunque avevo anche un ufficio a Roma in Viale Carso dove, come si legge sul libro, sono passati tutti i nostri artisti.  Avevamo una bella sede con un terrazzo molto grande dove, per l'estate,  avevo fatto mettere un ombrellone ed un grande tavolino, li ci incontravamo con i nostri amici cantanti, parlo di artisti del calibro di Bee Gees, Barry White, Demis Roussos, Antonello Venditti.  Il rapporto con loro era di profonda amicizia, c’era tra di noi un bel feeling che si è perpetuato per tutta la mia vita discografica.
Io mi preoccupavo di prendere l'aereo per Milano la domenica sera per essere puntuale il lunedì mattina allo staff meeting. Pensa che i miei amministratori delegati, dopo aver conosciuto il mio modo di lavorare, mi dissero che avevo sbagliato città di nascita in quanto ero più preciso dei milanesi.

 

Nel catalogo della Phonogram degli anni settanta, che comprendeva varie etichette come la Philips, la Charisma e  la  Polydor vi erano molti artisti stranieri e italiani.
Qual’era la differenza principale tra loro?

 

Guarda, ti dico subito che lavorare con gli stranieri era molto più facile perchè innanzitutto erano molto collaborativi e questo era già un ottimo punto di partenza. Ti voglio raccontare un aneddoto che riguarda  Cat Stevens, stiamo quindi parlando di un grande della musica internazionale. Andai a prenderlo all'aeroporto di Fiumicino insieme con la mia segretaria che faceva anche da interprete, data la mia idiosincrasia con la lingua inglese e gli dissi candidamente  "andiamo qui vicino a fare una trasmissione televisiva". Ci siamo fatti invece un'unica lunga tappa da Fiumicino a Bari, in quanto al teatro Petruzzelli c'era un programma televisivo che si chiamava "La Caravella dei successi" organizzato da Gianni Ravera, quello che sarebbe poi diventato il mio patron al Festival di Sanremo. A Bari ci aspettava Michele Mondella, un suo collaboratore che ci aspetta agitato fuori dal teatro, dato che, avendo trovato molto traffico, eravamo in forte ritardo. Appena arrivati gli abbiamo dato il nastro con il brano in playback. E mentre Cat Stevens entrava in camerino io sono subito andato a prendergli la chitarra, lui si è rapidamente cambiato la camicia e si è dato una veloce lavata al viso, quindi ha preso lo strumento e di corsa è salito sul palco proponendo quella meravigliosa canzone intitolata "Lady D'Arbanville".
Vi era quindi una grande disponibilità da parte di questi grandi artisti stranieri tra cui potrei citarti anche Amanda Lear e Demis Roussos.

 
Aldo Patriarca (al centro) con Demis Roussos 

Forse questa differenza  era dovuta anche alla cronica mancanza di preparazione dell’artista italiano che non conosceva ancora la gavetta del musical, dell’attività concertistica  e  delle scuole di recitazione ...

 

E' vero, loro erano artisti completi, non si accontentavano di fare solo i dischi e scimmiottare quando andavano in televisione, questo aspetto era fondamentale. Ricordo ad esempio i Genesis, portati in Italia da David Zard nel 1972. Fecero alcuni concerti ed esplosero prima qui e poi nel resto del mondo. Mi ricordo una cosa bellissima, era il 1973 ed ero al Rainbow di Londra, quindi un grande teatro non un piccolo club, i Genesis presentavano in concerto l'album "Foxtrot", ebbene Peter Gabriel durante lo spettacolo cambiò nove personaggi compresi di trucco e vestiti, questo in Italia non l'ha fatto mai nessuno, stiamo proprio parlando di artisti a tutto tondo.

 
L'album Foxtrot dei Genesis

Infatti gli artisti stranieri avevano da anni la cultura delle tournèe mentre in Italia si cominciava a farle solo in quegli anni ed inoltre il clima degli anni settanta non era dei migliori...

 

Infatti  gli italiani al massimo facevano qualche serata ed i concerti per trentamila persone sarebbero arrivati solo anni dopo. Inoltre alcuni concerti furono funestati da disordini e voglio raccontarti quello che  successe al Palazzo dello sport di Roma.
Quel giorno vi era  Lou Reed della Rca in concerto , prima di lui erano saliti sul palco Angelo Branduardi, di cui David Zard ne era anche il produttore, ed i  String Driven Thing portati da me. Loro erano un gruppo della Charisma che oggi nessuno ricorda più, avevano un sound molto particolare che comprendeva anche il violino e il contrabbasso.  Ebbene, quando gli String finirono di suonare  gli autonomi dal terzo anello cominciarono a buttar giù delle bottiglie di vetro piene di Coca cola,  ci furono diversi feriti, il concerto venne sospeso e il Palazzo dello sport fino al 1977 rimase chiuso ai concerti. Quella serata i giornalisti se la ricordano bene, mi trovavo proprio vicino a loro quando venimmo bersagliati da numerose bottiglie

 
Aldo con Miguel Bosè e Rose Lagarrigue

Dopo la Phonogram c'è stato il periodo alla Cbs che, da quanto si legge sul libro, è stata per te un'esperienza più amara che dolce, ma tralasciando l'amaro, quali sono i tuoi ricordi più belli?

 

Tra i ricordi più belli c’è sicuramente  la conoscenza di Miguel Bosè che è stato per me l'artista che ho sentito più vicino al mio modo di pensare,  una persona di una sensibilità e di una cultura unica e poi ho conosciuto anche Julio Iglesias,  il Mister Pensami, amato da tutte le donne e soprattutto dalle mamme. Ti voglio raccontare un aneddoto, dopo un concerto lo seguii insieme a mia moglie nel camerino della Bussola Domani dove lui mi chiese "Aldo, io ti vedo sempre con i jeans e con il blazer, ma potrei metterli anche io?" gli risposi "certo, ma che siano belli e  non "scaciati" come i miei" e lui da quel momento ha indossato il blazer blu sopra i jeans.
Ho conosciuto anche Bruce Springsteen e Sting dei Police perché anche l'AM Records all’epoca era distribuita dalla Cbs. Avevamo l'ufficio al primo piano di una palazzina in viale Mazzini all'angolo con viale Angelico. E poi in quel periodo c'era alla Cbs un artista italiano che credo che abbia fatto con noi il suo disco più bello, lui è un artista un poco particolare, alcune sue canzoni sono delle vere poesie, parlo di Claudio Baglioni. Il suo disco disco "Strada facendo" del 1981  contiene una canzone che è tra le mie preferite, parlo di "I Vecchi" il  cui testo andrebbe messo sui libri di scuola.
Claudio con "Strada facendo" ha avuto la sua consacrazione, considera che sull’onda del grande successo di vendite ha fatto un tour di 42 date in tutta Italia, il concerto di chiusura si è tenuto sopra  un palco galleggiante alla Darsena di Venezia, aperta per l'occasione al pubblico  dopo settecento anni.

L'album Strada facendo di Claudio Baglioni


Poi alla fine del 1982 il rapporto con l'amministratore delegato della Cbs è divenuto critico e a quel punto mi sono dimesso, devo dire che l'evento dimissioni ricorre spesso nella mia vita professionale, è successo quando ho lasciato la Rca, la Phonogram e come ti ho appena detto la Cbs, questo avveniva poiché conoscevo bene il mio valore.
Comunque la mia inattività è durata poco perchè Il giorno dopo le dimissioni Gianni Ravera mi ha chiamato chiedendomi se volevo diventare il direttore artistico di tutte le sue manifestazioni. E così sono diventato il direttore artistico del Festival di Sanremo dal 1983 al 1987, in primavera mi occupavo di Serata d'onore a Montecatini, poi era il turno di Un disco per l'estate che si teneva a  Saint Vincent e c'era la Rassegna Internazionale  di musica leggera a Riva del Garda. Inoltre mi occupavo anche di Castrocaro e dulcis in fundo dello spettacolo di fine anno che si teneva nel Salone delle feste del Casinò di Sanremo.
Mi trovai così a gestire un gran numero manifestazioni, non ti dico quanto gli altri discografici mi adulassero.
A proposito voglio raccontarti un aneddoto riguardante Zucchero. Durante Sanremo mi capitava spesso, data la numerosa mole di lavoro, di andare a dormire alle quattro di notte, Ebbene Adelmo si faceva trovare in albergo con la chitarra in braccio e cominciava a suonarla chiedendomi "senti Aldo, per Un disco per l'estate ti piace questa canzone?" e poi quando  eravamo a San Vincent faceva lo stesso chiedendomi "ti piace questa per Riva del Garda?" insomma devo dire che Zucchero, così facendo, riuscì veramente a sfinirmi!  Ma la mia meraviglia è stata quando lui al Festival di Sanremo del 1985 cantò "Donne", per l'esibizione indossò un cappellino sponsorizzato, dopo che io l'avevo pregato di non mettere niente dato che c'era un marchio che aveva pagato profumatamente la Rai per l'esclusiva.

 

Quindi tanti appuntamenti e tanto impegno, come ti sei trovato a gestire tanta responsabilità e come era il tuo rapporto con Gianni Ravera?

 

Fare il direttore artistico era un duro lavoro dato che allora le mansioni comprendevano  innumerevoli compiti ma non è stato difficile per me dato che avevo gia un'esperienza ventennale di discografico, inoltre nell'affrontare  le innumerevoli questioni pratiche mi tornò sicuramente utile l'esperienza maturata in Rca.
Mi aiutò anche l'ottimo rapporto con Gianni, tra di noi c'era una stima reciproca frutto di un lungo rapporto professionale iniziato negli anni sessanta, lui conoscendo la mia onestà si fidava molto e mi dava ampi spazi d'autonomia. Un ottimo rapporto, quasi paterno

 

Come è terminata la tua esperienze di Direttore al Festival?

 

L'ultimo Festival che ho fatto come direttore artistico è stato quello del 1987, Gianni Ravera purtroppo ci aveva lasciato a maggio dell’anno precedente, per cui quel Sanremo dovetti caricarlo tutto sulle mie spalle, ti posso dire che per me  è stato molto faticoso però quella è stata l'edizione che mi ha dato più soddisfazione  dato che è stata la più seguita e forse anche la più bella, impreziosita dalla presenza di molti grandi ospiti stranieri. Considera che l'ultima serata è cominciata alle nove di sera ed è terminata alle quattro di mattina, quel festival durò quattro serate e secondo me quella è la formula ideale per il Festival, mentre quella odierna è troppo lunga. Per le prime tre serate abbiamo portato sul palco dell'Ariston star come Rod Stewart, Duran Duran e Spandau Ballet, poi per la serata finale  li abbiamo tutti dirottati al Palarock presentati da Carlo Massarini. L'unica artista che è venuta  solo per l’ultima serata è stata la grande Whitney Houston. Dopo la sua esibizione, visto che tutti gli spettatori del teatro erano in piedi ad applaudire entusiasticamente, ho raggiunto Pippo Baudo dietro le quinte e gli ho proposto "perchè non la facciamo ricantare?' lui mi ha risposto dubbioso "un'altra volta la stessa canzone?" ed io "si la stessa canzone! Ce lo proibisce qualcuno?" e lei ha cantato per due volte dal vivo “All at Once”. Una cosa che non era mai successa e non è più successa dopo,  il tutto è avvenuto durante la trepidante attesa dei risultati delle votazioni. Alla fine sono andato in camerino e gli ho portato un bel mazzo di fiori, in quel momento non avrei mai lontanamente immaginato la fine che ha fatto.
 
Whitney Houston al festival di Sanremo
 
 
Comunque l'ultimo Festival in assoluto l'ho fatto come consulente musicale per la Rai nel 2004, quello presentato da Simona Ventura e che aveva come direttore artistico Tony Renis, finito quel festival sono tornato a Roma e ho detto a mia moglie "basta, voglio smettere di lavorare!" d'altronde avevo sessantacinque anni e potevo  andare in pensione.

 

Non mi hai ancora parlato di quando lavoravi  alla DDD.

 

Credo che nessuno ricordi la Drogheria di Drugolo ma la DDD era una casa discografica che dall'inizio anni '80 sino al 1994, oltre a Ramazzotti e Mia Martini, aveva artisti come Fiorella Mannoia, i Matia Bazar ed Enzo Jannacci, quindi una piccola etichetta ma con un grande catalogo.

 

Alla DDD hai promosso due cantanti molto differenti: Eros Ramazzotti e Mia Martini.
Il primo un artista emergente, l'altra un'artista con un immagine da rinverdire, quindi due tipi di promozione diversa, forse più difficoltosa la seconda operazione.

 

Promuovere la Martini non è stato più difficile , perchè Mia, a dispetto di quello che possono pensare in molti, era una donna di una dolcezza eccezionale. Io ho avuto la fortuna di lavorare con lei quando presentò al festival di Sanremo del 1989 lo splendido brano "Almeno tu nell'universo”, poi tornò nel 1992 con "Gli uomini non cambiano", devi sapere che quella canzone era riferita a Ivano Fossati che è stato il suo grande amore e che l'aveva lasciata, si ripresentò ancora al Festival nel 1994, quello dove io promuovevo anche Paolo Rossi ed Enzo Jannacci con “I Soliti accordi”, lei acconsentì a cantare una canzone con la sorella per aiutarla ma quel disco fu un flop. Purtroppo Il 12 maggio del 1995 Mia è deceduta e  Il premio della critica che sino a quel momento portava il nome di Luigi Tenco venne dedicato a Mia Martini .

 
Il 45 giri di Mia Martini

Quindi la Martini era  una grande professionista?

 

Era una persona incredibile, quello che io gli dicevo e gli suggerivo lei lo faceva serenamente senza alzar voce, senza nessun problema. Io penso che un'artista deve ascoltare chi ha più esperienza, per loro ero quasi un padre e difatti la mia più grande delusione è stata con Eros Ramazzotti perchè lo consideravo un figlio, per me la fine del rapporto con Eros è una ferita ancora aperta e lo si capisce bene nel libro. 
Invece Mia  mi è rimasta nel cuore insieme ad un altro grande  artista che purtroppo se ne è andato proprio a Sanremo nel 1967, parliamo di  Luigi Tenco.

 

Tu c'eri a quel festival?

 

Si, io stavo proprio con lui, Luigi aveva una grande sensibilità e penso  che non avrebbe dovuto partecipare ad una competizione così snervante come il Festival di Sanremo, ricordo che solo il pensiero di trovarsi di fronte a venti milioni di telespettatori lo metteva in apprensione. Lui preferiva il contatto diretto con la gente comune,  era un antesignano del 1968.

 
Luigi Tenco al Festival di Sanremo del 1967

Dicono che lui all'epoca fu uno dei primi a cercare il contatto con gli studenti, con i giovani e gli operai.  Si espose molto  e ricevette  delle critiche sbagliate, tu scrivi sul tuo libro che in Rca fu criticato dalle maestranze.

 

Si è vero, gli operai della Rca che in quel periodo erano in sciopero gli dissero chiaramente  "tu fai presto a parlare ma intanto giri con il Jaguar" e lui non si è scomposto, mi ha detto "Aldo vieni con me" quindi siamo andati da un autoconcessionario dove ha lasciato la Jaguar prendendosi un’utilitaria. Ebbene, con la differenza ha firmato un assegno per gli operai in sciopero

 

Ma perchè gli operai erano scesi in sciopero?

 

Perchè gli americani erano stati furbi e costituendo la Rca a Roma, il contratto per le maestranze non l'hanno fatto come discografici ma come metalmeccanici, per pagare stipendi più bassi e meno tasse. Approfittarono del fatto che nello stabilimento, stampando il vinile, si svolgeva anche un'attività industriale.

 

Dopo tanti anni di esperienza sul campo sei senz'altro in grado di dirmi  quali erano le caratteristiche che doveva  avere un  buon promoter.

 

Un buon promoter doveva avere innanzitutto la capacità di presentarsi  in Rai avendo una certa abilità di linguaggio per interloquire con il dirigente di turno e doveva anche mantenere un buon rapporto con la stampa.
Nei confronti degli artisti era importante anche avere una buona capacità di convinzione dato che spesso e volentieri si rifiutavano di partecipare ad alcuni programmi.
Quindi era un lavoro basato molto sulle pubbliche relazioni ma richiedeva anche una buona dose di perseveranza. Io ero il tipo che se non riusciva a fare un programma, a mettere un'artista a Domenica in per esempio, non ci dormiva la notte. Per me il promoter non era una professione, era un divertimento. Devo dire che tutto il successo che ho avuto lo devo all'amore per questo lavoro.

 

 

Quale artista, tra quelli che non hai seguito, avresti  voluto promuovere?

 

Questa è una bella domanda, uno ad esempio è Vasco Rossi , io Vasco l'ho scoperto  a Sanremo nel 1982, aveva fatto "Vado al massimo" che aveva già ottenuto un buon successo, ma è nel 1983 che ha avuto l'imprimatur della grande star con "Una vita spericolata". Mi sarebbe sicuramente piaciuto lavorare con lui perchè lo ritengo, a differenza di Ligabue,  un vero rocker. Sai che c'è stata una diatriba ultimamente. Insomma Vasco Rossi è unico, io ho comprato gli ultimi suoi due cd e posso senz'altro dire che sono fantastici.

 

 

Un'ultima domanda, ha ancora senso fare il promoter oggi?

 

Assolutamente no.  E a chi poi? Oggi i cantanti si promuovono da soli, se vogliono andare da Vincenzo Mollica lo chiamano direttamente chiedendogli  "senti Vincenzo, vieni a farmi un servizio quando faccio il concerto allo stadio Olimpico?". Non serve più l'interlocutore poiché la promozione se la fanno essenzialmente da soli. Se vogliono fare un programma televisivo, come hanno fatto Morandi e Celentano alla Rai ed a Mediaset, i contatti sono diretti. Non c'è più bisogno di un intermediario, devo dire che oggi il promoter discografico è un mestiere che è divenuto obsoleto.

 

 

Con questa osservazione finale sul mestiere del promoter  siamo giunti  al termine del nostro incontro e dopo qualche scambio di opinioni calcistiche sulla squadra della As Roma mi sono congedato con Aldo Patriarca congratulandomi con lui per la sua ottima memoria.

 

 

 

Chi fosse interessato al libro "Una vita a 45 giri", sia per approfondire gli argomenti trattati nell'intervista sia per scoprirne di nuovi, può trovare il libro QUI.

6 commenti:

  1. ...è stato un piacere conoscerla , ascoltarla e leggere di lei...il suo vicino di aliscafo !

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  2. Molto interessante questa intervista...ed anzi, devo dire, tutto il blog: complimenti!

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  3. Caro Aldo, leggendoti ho rivissuto passo passo anche la mia vita professionale. Ho perso le tue tracce ma sono contento di sapere che stai bene e ti faccio tanti auguri per tutto.
    <Pierluigi Germini

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  4. Splendida ed avvincente intervista che mi ha fatto tornare indietro nel tempo... un abbraccio!

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  5. Un caro saluto dal passato comune in RCA.

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  6. Un caro saluto dal passato comune in RCA. Anna Monticelli

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