venerdì 18 settembre 2015

Intervista a CW Stoneking


Musicittà, in occasione del Mojo Station Blues Festival di Roma ha avuto l'occasione di incontrare il bluesman australiano C.W. Stoneking. Grazie alla sua preziosa disponibilità abbiamo rivolto qualche domanda ad uno dei più interessanti e stimati musicisti dell'odierna scena blues internazionale




STONEKING:  Debbo chiedervi scusa per il ritardo, ma abbiamo dovuto guidare nove di fila per essere qui stasera e abbiamo incontrato molto traffico.

MUSICITTÀ:  Conoscendo il traffico delle strade italiane siete assolutamente scusati  e soprattutto siamo felici di darvi il benvenuto a Roma. Abbiamo finalmente l’occasione di incontrare oltre che un grande musicista anche un vero e proprio cantastorie, perché è indubbio che i tuoi testi sono soprattutto delle storie, non è così?

STONEKING: Si è proprio così,  quando scrivo la mia musica ci inserisco sempre le mie storie.  

MUSICITTÀ: Il fatto di essere nato e cresciuto in Australia nel Northern Territory deve essere stato per te molto impegnativo  dal  punto di vista umano ma, man mano che crescevi,  anche invalidante dal punto di vista musicale.

STONEKING:  Oh sai, i bambini, rispetto agli adulti,  si adattano a qualsiasi ambiente.  Io sono cresciuto con mio padre, un americano, ed ascoltavamo insieme tutti i giorni  la sua collezione di dischi americani.

MUSICITTÀ:  Infatti, volevamo chiederti quali sono stati i tuoi primi passi, come hai imparato a suonare il banjo e la chitarra?

STONEKING: Ho iniziato a suonare la chitarra quando avevo undici anni. Mia madre ne aveva una vecchia nel capannone, un giorno andò a prenderla  e me la regalò. Ho cominciando trovando da solo gli accordi  delle poche canzoni che conoscevo, in seguito tutti i ragazzi del villaggio che avevano una chitarra si  ritrovarono a suonare insieme ed inoltre, visto che ero un ragazzo abbastanza scalmanato, la chitarra mi faceva anche da calmante.




MUSICITTÀ:   Senti la mancanza del banjo nelle tue performance?

STONEKING:  Non ho usato il banjo su questo disco perché cercavo tonalità diverse.. D'altronde già in passato ho dovuto rinunciare in studio a degli  strumenti (ad esempio i fiati) con i quali mi divertivo molto. Tornando al  banjo, devo dire che a casa c'è l'ho sempre a portata di mano e riesco quindi a suonarlo quando voglio. Perciò posso dire che non mi manca, assolutamente.

MUSICITTÀ:   Tu invece, in questi sei anni di assenza dallo studio di registrazione, ci sei mancato molto.
Per parlare del tuo ultimo lavoro, sembra come ci vai giù parecchio con il root-blues, specialmente su Zombie e Mama Got the Blues che sono alcuni dei miei brani preferiti, molto intensi e anche tanto inusuali.  L'atmosfera rimanda al blues delle origini, quello cantato nei campi di cotone, tu parli fondamentalmente di schiavitù, ma con una nota di leggerezza. Sono tutte canzoni tormentate, anche grazie alla timbrica della tua voce ed i  tuoi album hanno sempre  un sapore vintage, come fai ad ottenerlo?

STONEKING:  Con rispetto alla registrazione questo non si poteva evitarlo. E’ stato come per i Rolling Stones quando andarono in America a preparare il loro album. Volevano sembrare  Muddy Waters, ma alla fine rimasero i Rolling Stones.  Questo ultimo disco è stato registrato molto semplicemente. Non so se è dipeso dalla mia pigrizia o dal fatto che dovesse uscire prestissimo . Comunque questa è la mia voce ed ha i suoi lati positivi e le sue limitazioni. Per quanto io ne sappia, non c’è stato un gruppo negli ultimi sessant'anni che abbia usato una intera band con soli due microfoni e due coriste.  Per quanto riguarda la musica , la mia maggiore influenza la puoi ricercare negli anni ’20 e ’30.  È in quel periodo che sono state poste le pietre portanti della musica e  della società americana.


I Rolling Stones con Muddy Waters

MUSICITTÀ:  Lavori ancora analogicamente?

STONEKING:  L’ultimo disco non ha visto il computer neanche per una volta. I CD si ma i vinili no. Ma i miei primi due dischi sono stati fatti usando il computer. Alcune persone dicono che ascoltando un disco sono in grado di stabilire se è stato fatto analogicamente o con tecnologia digitale.  Sono cazzate. Ci si dovrebbe dimenticare dell’attrezzatura.  Si tratta  solo di musica e  composizione testi. Se uno è veramente bravo può registrare anche da uno smartphone. 

MUSICITTÀ:  Il  bass line di  Mama got the blues, che è un altro dei miei brani preferiti, con la sua particolare ritmica, tradisce una certa influenza hip hop mentre la tua voce ha un incredibile potere magnetico.

STONEKING:  E’ già, quella bass line che ho trovato tempo fa quando scrissi Jungle blues. Ogni volta che cercavo di deviare da Mama got the blues mi ritrovavo intrappolato, mi ci vollero diversi anni per concludere. Il pianto di una persona esausta, la melodia con il quale inizia, come in un’aria. Si è vero, ha un po’ di hip hop ora che mi ci fate pensare. Sono stato ispirato da un successo di 50cents  che aveva una tastierina tipo keypad che faceva più o meno così... (accenna con le dita ad un breve pezzo hip hop sul tavolo) ecco potevo concludere il pezzo con questo tip tap!

MUSICITTÀ:  (ridendo) Non volevamo compararti a 50cents.

STONEKING:  Succede sempre così. La gente mi ignora quando lo dico. Ma l’idea l’ho presa proprio da lì (risata!)

MUSICITTÀ:  Probabilmente abbiamo bisogno della tua conferma! (risata generale!)


L'ultimo lavoro di CW Stoneking


MUSICITTÀ:  Su Gon' Boogaloo in particolare  si sentono delle vocalist che tradiscono un' impostazione doo-wop se non addirittura gospel. Come hai fatto a trovarle in Australia ed estrarre da loro quelle vibrazioni  così magiche?

STONEKING: Sono due sorelle, The Kelly Sisters. Io conosco il padre, un grande interprete e autore australiano ed è stato lui a raccomandarmele.  Le sorelle Kelly sono parte integrante della band, mentre Vic e Linda Bull e Tom sono sul video di Zombie. All’inizio io volevo un coro africano tradizionale che avevo intercettato su Youtube, ma era molto difficile mettersi in contatto con loro, inoltre essendo  molto tradizionali non erano interessati nel fare dischi. Le due sorelle sono molto diverse,  il loro timbro vocale ha avuto bisogno di qualche direttiva ma alla fine è stato fatto un ottimo lavoro.

MUSICITTÀ: Le nostre congratulazioni anche per le sorelle, sono riuscite nella difficile impresa di impreziosire il tuo caratteristico sound.

STONEKING: Ringrazierò per voi le ragazze.


The Kelly Sisters


MUSICITTÀ: Per quanto riguarda l'aspetto discografico, sembra che tu abbia fermamente deciso di proporre la tua musica attraverso la tua etichetta King Hokum. questo sicuramente ti aiuta in quanto hai una grande libertà. Penso che sia comunque difficile fare tutto da soli, mi riferisco ad esempio alla produzione, alla distribuzione e tutto quello che è inerente alla gestione di una etichetta discografica. cosa mi dici al proposito?

STONEKING: Io uso dei distributori in Inghilterra, nel resto d’Europa e in Nuova Zelanda ma non in America. Questa cosa finora ha funzionato, ma comunque non escludo che in futuro potrò fare dei tagli per diventare totalmente indipendente fino ad arrivare al mail order, o cose di questo tipo.

MUSICITTÀ:  Quale musica ascolti oggi?

STONEKING:  In questi ultimi sei anni ho ascoltato molti dischi Gospel, anche il sound dei quartetti vocali mi sta intrigando molto.  Non riesco ad ascoltare molta altra musica perché ho quattro figli piccoli e se provassi a suonare a casa un disco finirei in riabilitazione, sai. (risata!)





MUSICITTÀ: Bè congratulazioni, quattro figli! Potresti provare con Rehab di Amy Winehouse, forse capirebbero al volo!  Meglio mandarti alla tua meritata cena, sappiamo quanto hai viaggiato e ti ringraziamo per il tempo che ci hai concesso.

STONEKING: Vi aspetto al concerto più tardi stasera.

MUSICITTÀ:  Saremo lì. Non mancheremo di sicuro…


Il concerto  al Monk Club di Roma



Discografia
C.W. Stoneking  (1998)
C.W. Stoneking & The Blue Tits (live) - independent release (1999)
King Hokum - King Hokum Records (KHR 01) (March 2005)
Mississippi & Piedmont Blues 1927-1941 - King Hokum Records (2006)
Jungle Blues - King Hokum Records (KHR02) (20 October 2008)
Gon' Boogaloo - King Hokum Records/Caroline Australia (17 October 2014)


martedì 17 febbraio 2015

Il Piper Club di Roma compie 50 anni


Il 17 febbraio del 1965, esattamente 50 anni fa, apriva il Piper Club a Roma, in via Tagliamento, un locale che sin dalla sua progettazione fu creato e ideato per soddisfare il desiderio di novità e trasgressione dei ragazzi dell'epoca e  divenne velocemente il più importante club di musica per i giovani, un vero e proprio tempio della cultura beat. Ideatori di questo locale furono Giancarlo Bornigia e Alberico Crocetta. Il locale venne aperto al posto di un ex deposito di mobili che era stato inizialmente costruito come cinema ma a causa di mancate licenze non era stato mai aperto.
 
 

 
Per i lavori venne interpellato lo studio di architettura  Pinini & Capolei che a sua volta si affidò a Claudio Cintoli, l'artista lavorò oltre un anno alla scenografia del locale realizzando la bellissima opera sul palco intitolata II giardino di Ursula. Inoltre il Piper, a differenza di altri locali, aveva due piani che erano in comunicazione l'uno con l'altro e quello superiore si sviluppava su dei piccoli balconcini laterali che consentivano, a chi non voleva mettersi troppo in evidenza, di poter partecipare  senza mettersi necessariamente in mostra. il Piper consentiva quindi sia ad i vip in cerca di privacy sia ai ragazzi più timidi di esserci comunque, magari evitando di ballare, visto che la musica era talmente straordinaria da poter essere anche "solo" ascoltata.
 
 
 

Per pubblicizzare l'inaugurazione  del locale romano fu stampata un variopinto biglietto sul quale era elencato il programma della serata d'apertura che prevedeva l'esibizione dei Rokes con la partecipazione, come gruppo spalla,  dell'allora semi-sconosciuto complesso dell'Equipe 84.
 
 
I Rokes al Piper
 

Moltissimi artisti e band  fecero poi almeno una serata al Piper ed infatti il locale vide il debutto di quasi tutti i nuovi protagonisti della nuova musica leggera italiana: Caterina Caselli, Patty Pravo,  I Pooh, Le Orme e tanti altri.


 



Ma furono soprattutto i gruppi inglesi che erano nel frattempo approdati in Italia a caratterizzare la scena del locale, infatti oltre ai Rokes salirono sul palco i Motowns da Liverpool, i The Sorrows con il loro ruvido blues-beat, i celeberrimi  Primitives del cantante Mal, ma ci furono anche i Renegades, i Casuals della scuderia di Gino Paoli, Mike Liddel e gli Atomi, i Doc Thomas Group (che in seguito diverranno i futuri Mott the Hoople) ed altri ancora. Venne addirittura inciso per la Piper Club series della RCA un fantastico album dal vivo, Una serata al Piper, anche se bisogna dire che il disco in realtà fu registrato dal vivo ma negli studi della casa discografica dove vennero anche aggiunte le urla del pubblico.
 
 
Il disco Una serata al Piper edito su Piper Club series della Arc
 

Naturalmente tutti i gruppi italiani che suonavano il beat passarono a Via Tagliamento, come ad esempio i Camaleonti, i Corvi, i Nomadi, i New Dada di Maurizio Arcieri e tanti altri compresi molti cantanti che, anche se non erano beat, per avere un po' di notorietà si presentarono su quel palco, che in quegli anni era il luogo giusto per farsi notare. Comunque i veri protagonisti del locale erano i ragazzi che si ritrovavano al Piper Club anche solo per il gusto di stare insieme, per ascoltare musica bellissima, per scambiarsi opinioni  ed anche per vedere la quotidiana passerella di personaggi, famosi o comunque sulla via del successo. 
 
 
Anche Claudio Villa ha suonato al Piper!
 
 
Il Piper di Roma era infatti un luogo conosciuto bene anche all'estero e il pubblico che lo frequentava era composto anche da attori, registi ed altri personaggi dello spettacolo che erano di passaggio nella capitale.
L'aria che si respirava era veramente elettrica ed anche un evento in apparenza mondano, nascondeva un sentimento di protesta come, per esempio, quando nell'ottobre 1967 fu organizzata una festa dei fiori, sull'onda della nascente cultura hippy.
 
Il biglietto d'invito alla Festa dei fiori
 
 
Per l'occasione  arrivò dall'Inghilterra una ragazza Dj a mettere i dischi, probabilmente quella fu la prima esperienza italiana di un disc jockey ed era una donna! Il primo brano che mise fu Wack Wack  dei Young Holt Trio.




Memorabili anche le serate in cui Mario Schifano, il grande artista, presentò il gruppo musicale Le Stelle di Mario Schifano, la risposta italiana ai  Velvet Underground il gruppo capitanato da Lou Reed e John Cale e creato da Andy Warhol.
 
 
Mario Schifano al Piper Club
 
Oppure quando Tito Schipa Jr. mise in scena Then an Alley, la prima opera beat al mondo, questa esperienza portò successivamente Schipa a realizzare l'Orfeo 9, un altro musical rock degli anni '70, al quale parteciparono tanti giovani che già avevano frequentato il Piper: Renato Zero e Loredana Berte per esempio.
 
 
 

Forse l'unico grande gruppo che venne a Roma e  non suonò al Piper fu la mitica Jimi Hendrix Experience che si esibì al Teatro Brancaccio in una serie di concerti organizzati dal locale rivale Titan club. Suonarono invece al Piper nella primavera del 1968 i Pink Floyd.
 
 
 

Durante gli anni 70 il Piper, oltre ad ospitare molti gruppi rock come ad esempio i Genesis, organizzò una kermesse che vide sfilare la maggior parte dei gruppi rock progressivi italiani, la manifestazione si svolse nel periodo in cui andava in onda il Programma televisivo Canzonissima e prese così il nome di  Controcanzonissima. Ci fu la partecipazione di gruppi come la PFM, i New Trolls, Gli Osanna, , Le Orme, La Nuova Idea, i Delirium, i Trip, Raccomandata con Ricevuta Ritorno, il Rovescio della medaglia ed altri. Negli anni '80 arrivano al Piper i gruppi punk e new wave tra i quali i Plasmatic di Wendy O. Williams ed i mitici Blondie di Debby Harry.

Il locale oggi rimane principalmente una discoteca, manca oramai da tempo una vera cultura musicale che possa riconsacrare  il locale alla musica dal vivo.

 


giovedì 12 febbraio 2015

Intervista al Maestro Pinuccio Pirazzoli, Direttore musicale del Festival di Sanremo 2015



Musicittà questa volta intervista il Maestro Pinuccio Pirazzoli, un brillante musicista nato e cresciuto a Milano che svolge da circa cinquant'anni una fortunata carriera come chitarrista, arrangiatore e direttore d'orchestra. In questi giorni è presente a Sanremo in veste di Direttore Musicale e prima di partire per il Festival ci ha gentilmente concesso qualche minuto per rispondere ad alcune nostre domande riguardo il suo percorso professionale.



Intervista al Maestro Pinuccio Pirazzoli



Pinuccio, puoi raccontarci come hai cominciato a fare musica? E' vero che da ragazzo hai studiato musica con Franco Mussida della PFM?

Da bambino non sono cresciuto con mia madre ma con la famiglia dei miei cugini, nella famiglia di un insegnante di musica, una persona straordinaria che da bancario e brillante matematico si trasformò in un grande insegnante di musica. Vivendo insieme comprese immediatamente che avevo un talento musicale molto perspicace e a quattro anni mi regalò una fisarmonica. Così in tenerissima età cominciai a riprodurre tutti i motivi che ascoltavo alla radio, finchè all'età di cinque anni mi mandò a studiare il pianoforte e non contento, aprì un proprio  liceo musicale dove ho conosciuto gli esordi di quei ragazzi che dopo qualche anno divennero i Dik Dik. All'epoca loro già suonavano le chitarre elettriche ed io ero affascinato da questi strumenti e così all'età di sette anni, mentre ero al quarto anno di corso,  realizzai che la chitarra sarebbe stata il mio strumento e cominciai  a studiarla. Il  mio compagno di allora era Franco Mussida, che ho conosciuto prima del suo incontro con Franz Di Cioccio che allora era un ragazzino molto energico che andava in giro con le bacchette alla cintura. Tra di loro, oltre che il sodalizio musicale (insieme hanno fondato le band dei Quelli, I Krel e la PFM), nacque una grandissima amicizia che dura da tutta una vita e devo dire che loro crescendo sono diventati tutti bravissimi.


Franco Mussida (primo a sinistra) e Franz Di Cioccio (ultimo a destra) in una foto
con il gruppo dei Quelli.

E loro  formarono il gruppo I Quelli.

Si, io per svariate esigenze mi sono distaccato dalla famiglia ed ho iniziato a prostituirmi in  tutti lavori possibili,  iniziai addirittura suonando la chitarra in un circo, poi venne il momento delle  balere e per guadagnare qualche soldo per vivere mi esibivo anche nei night-club giovanili.
A diciotto anni avevo già fatto delle tournee con Milva e con Antoine, considera che con Franco avevamo già iniziato a frequentare le sale di incisione, noi eravamo i ragazzi che arrivavano freschi freschi e che suonavano la musica del momento, cioè il beat, allora anche in Italia erano esplosi i Beatles e appresso anche gli altri gruppi rock inglesi e americani.  Io e Franco studiavamo come matti, suonavamo in ogni momento anche quando mangiavamo e non vedevamo l'ora di fare musica insieme, diventammo così veramente bravi, al punto di riuscire a fare qualsiasi cover perfettamente riproducendo le giuste sonorità. Facevamo in modo di avere le chitarre e gli amplificatori giusti che ci permettevano di raggiungere il giusto quid e grazie al nostro grande impegno all'eta' di diciotto anni già incidevamo, dopo un poco però le nostre strade si divisero e  Mussida formò il gruppo dei Quelli.

Tu invece entrasti nei Ragazzi della Via Gluck?

Si ma non subito. Ho continuato a fare tanta gavetta nei night-club e poi, entrando nel Clan di Celentano, ho cominciato a divertirmi,  I Ragazzi della Via Gluck era un gruppo assolutamente rhythm and blues e accompagnavamo Adriano nelle sue serate come gruppo di spalla. Lui, dopo avermi conosciuto in quel contesto, mi ha voluto per molti anni in sala d'incisione come collaboratore per i suoi dischi.

Un 45 dei Ragazzi della Via Gluck


Comunque sono rimasto con I ragazzi della Via Gluck  per circa 10 anni e ci siamo divertiti moltissimo, facendo anche Prisencolinensinainciusol e tutta quella roba li, c'era molto entusiasmo, considera che non ho mai considerato questo lavoro per i soldi, a parte i primi anni, e tutti abbiamo fatto delle cose fantastiche di cui ho ancora un ottimo ricordo e poi a ventidue anni, mentre ero ancora il loro chitarrista, ho incontrato Gino Paoli che mi ha voluto nel suo team di lavoro. Gino mi ha fatto crescere professionalmente facendomi diventare il suo arrangiatore ed a soli ventitre anni  ero l'arrangiatore di Gino Paoli!

Niente male, è vero che insieme avete messo su il Bach Studio?

Verissimo, il Bach Studio è una società discografica fondata da Gino, da me e da Nino Iorio che è da sempre il mio fonico di fiducia e che mi segue ancora oggi, anche a "Tale e Quale".

Quindi un grande rapporto professionale e umano......

Con chi si e' comportato bene con me ho sempre conservato ottimi rapporti.

Di Adriano che mi dici?

Adriano sin da ragazzino, quando con la chitarra suonavo Il Tuo Bacio è Come il Rock , era ed è ancora un mio idolo. Quando ho cominciato a suonare per lui all'età di diciassette anni è stato veramente entusiasmante, era come toccare il cielo con un dito. Appartenere al Clan, specialmente per me che ero senza famiglia, ti dava l'impressione di vivere in una grande famiglia, il Clan assumeva così un effettivo significato familiare.

Hai poi cominciato a fare arrangiamenti anche per Adriano?

Si certo. Dopo uno svariato numero di anni ho cominciato a fare arrangiamenti anche per lui.



Continuando nel frattempo  a fare arrangiamenti per Gino Paoli?

Di sicuro, erano due attività parallele.

Con Gino avevi delle grandi responsabilità in quanto figuravi tu come arrangiatore mentre con Celentano lavoravi in equipe,  c'era Detto Mariano e anche gli altri.

C'era Detto Mariano che andava e veniva, ma io comunque, dopo svariati anni con Adriano, ero rimasto "Pinuccio il chitarrista" mentre per Gino Paoli ero il Maestro Pirazzoli, all'epoca tanta gente non abbinava le due persone.

Si ho notato che quando arrangiavi per Paoli hai composto qualche brano firmandoti come Giuseppe Pirazzoli, l'attività di composizione, oltre che un esercizio di stile,  forse portava anche qualche soldino con la SIAE.

 Si , ho fatto anche io qualche canzoncina. Forse avrei dovuto farne di più, allora non davo molta importanza a questo, mentre molti miei colleghi firmavano i pezzi  anche se non dovevano, io non l'ho mai fatto perchè per me era come portar via soldi alla gente. Ho lavorato tutta la vita per sopravvivere  e mi sembrava disonesto  farlo, avevo questo "brutto principio".

Ma c'è sempre una legge di compensazione no?

Vero.

Oltre che con Adriano e Gino hai lavorato anche con Renato Zero, anche se faresti prima a dire con chi non hai lavorato.

Ho lavorato con Renato Zero, con i Camaleonti, con Tozzi, molto anche con la Rettore e poi i Pooh, Fiordaliso, Umberto Balsamo e ancora consulenze con Celentano e con Cotugno, con Toto abbiamo realizzato delle belle cose insieme e devo dire che ho lavorato tanto e bene anche con Modugno, un lp e due singoli.



Che tipo era Domenico Modugno?

Bellissimo lavorare con lui, un grande signore nel pieno della sua maturità artistica, un'esperienza indimenticabile.

Hai qualche aneddoto che vuoi raccontare?

La mia famiglia all'epoca non mi riconosceva più, i miei figli credevano che li avessi abbandonati....il fatto è che ho sempre lavorato!

Le persone che lavoravano in quei tempi nell'ambiente discografico raccontano che era un lavoro duro, che ci voleva molto tempo per realizzare un disco.

Infatti, a volte per fare un lp rimanevamo  bloccati un mese intero solo per registrare le basi.

E prima si lavorava solo con le orchestre.

E' vero, ricordo un episodio con Paoli, era uno dei suoi primi lp con le cover delle canzoni di Serrat (I Semafori Rossi Non Sono Dio del 1974), lui aveva fatto i testi, erano pezzi di musica molto impegnativa e lui ne aveva immediato bisogno. E gli proposi una cosa assurda, con grande spavalderia gli dissi:  "Te lo faccio in una settimana con l'orchestra in diretta". Bene, avevo ben sessanta elementi da dirigere, mi sono messo sul podio, con l'orchestra davanti ed in una settimana ho fatto tutto, una bella soddisfazione!


Una grande scommessa vinta.

Si, fu una cosa meravigliosa. La registrazione in diretta si tenne a Milano, presso uno studio di registrazione della Phonogram sito al quinto piano di un edificio di epoca fascista, in una grande sala che prima era un teatro, un bel posto con un enorme mosaico di Sironi.


Si può visitare questo posto?

Si, adesso è tornato ad essere una sala aperta.

E di Renato Zero che cosa dici?

Dico che ho fatto con lui un doppio lp  (Prometeo del 1991) ed  anche una tournee insieme, una bella esperienza che risale agli anni novanta quando mi conobbe e mi volle con lui .


Ho visto che hai fatto delle colonne sonore per Adriano tipo Bingo Bongo ed altre. Come e' stato il tuo approccio con il mondo del cinema?

Adesso, al di là  del fatto che ci avrei lavorato volentieri, ritengo che non mi hanno mai preso sul serio,  forse perché mi chiamo Pinuccio. Se ti chiami Pinuccio o sei una schiappa o sei uno forte e per riparare a questo nome ho dovuto essere forte.


Dai primi anni '90 hai vissuto l'esperienza dei festival di Sanremo, mi sembra che in quello del 1991 sei stato anche direttore musicale.

Ho cominciato la mia carriera di arrangiatore negli anni '70. In quegli anni le manifestazioni avevano ancora l'orchestra dal vivo che accompagnava gli artisti, gli appuntamenti erano Sanremo, Il Festivalbar,  Un disco per l'estate a San Vincent e la Mostra internazionale di musica leggera di Venezia. Feci il mio debutto ad Un disco per l'estate del 1973 accompagnando con l'orchestra Gino Paoli che tornava in gara dopo diversi anni. Per me era una grandissima soddisfazione, andai per l'occasione a comprarmi un bel vestito in Via Santa Croce a Milano e quando diressi  l'orchestra lo feci facendo le mosse di Celentano, cioè ballando, d'altronde ero ancora un ragazzo. Verso la fine degli anni settanta cominciarono a sparire le orchestre, si preferiva utilizzare la basi, il cosiddetto playback. E' in quel periodo che cominciai a fare i festival di Sanremo, a quei tempi il Festival aveva perso di importanza, veniva addirittura ripreso dalla tv soltanto nell'ultima sera mentre le altre serate erano solamente radiofoniche. Devi sapere che, soprattutto nell'ultima serata, in occasione della ripresa televisiva,  per dare spazio a tutti gli artisti le canzoni dovevano durare al massimo un minuto e mezzo!  Questo è continuato sino a che la Rai lo ha voluto rilanciare e con le edizioni di Pippo Baudo è ritornato ad essere una grande manifestazione. I brani vennero cantati con la base di fondo sino agli anni '90 quando con la gestione di Aragozzini ritornarono le orchestre.


La vittoria di Anna Oxa e Fausto Leali

Ricordo che nel 1989 vinse Fausto Leali con la Anna Oxa, Fausto un altro cantante con cui ho lavorato parecchio, insieme abbiamo fatto Io amo, insomma Fausto vince il Festival e l'anno dopo andiamo a fare il festival al Palafiori con l'orchestra, in quella struttura enorme che sembrava uno stadio e improvvisamente la Rai si dovette confrontare con una tecnologia che oramai aveva perso, in quanto i tecnici all'epoca si erano formati lavorando con la base registrata e con pochi microfoni, i microfonisti  non sapevano più come mettere i microfoni agli strumenti, a parte forse quelli che lavoravano alla radio, rilanciare il tutto quindi era difficile. Chiamarono per l'occasione un grande fonico che si chiama Gaetano Ria e lui si inventò una connection di diversi banchi, prese infatti undici banchi analogici, ognuno di questi racchiudeva una sezione; i fiati, il coro, le chitarre, le batterie, eccetera e preparò un banco centrale che racchiudeva tutte le entrate. Devi considerare che gli elementi erano tanti, si parlava di un'orchestra con quasi ottanta elementi.  Inoltre ci fu il ritorno degli artisti  stranieri con la doppia esecuzione, insomma ritornò il Sanremo classico, questa cosa piace moltissimo alla gente perchè venne presa come una grande novità, la Rai si mobilitò con tutte le sue risorse e cominciò a sviluppare la tecnologia adatta e devo dire che in questi anni in cui ho lavorato con la Rai ho sempre trovato operatori veramente eccezionali.

Il festival di Sanremo al Palafiori di Arma Di Taggia

 Sono state tirate fuori le potenzialità professionale dell'azienda...

Queste professionalità si sono arricchite e  successivamente è anche arrivata la tecnologia del digitale, i fonici sono diventati molto più svelti e più capaci ed i tempi di lavoro si sono progressivamente ridotti, oggi ci troviamo con un organico che è un vero patrimonio e che comprende anche gli addetti alle luci, alla ripresa televisiva e tutti gli altri.

Ed effettivamente sono anni che si parla del fatto che il Festival potrebbe lasciare la Rai, ma io penso che grazie a queste professionalità la Rai rimanga il soggetto più adatto a seguire il festival. 

Voglio dirti una cosa: facendo questo mestiere ho scoperto tutto l'iceberg professionale nascosto di questo tipo di lavoro. Ma il grande problema del Festival è un altro, ultimamente ho fatto degli esperimenti perchè quest'anno vado al Festival come Direttore musicale. Ebbene ho notato che dopo che ho fatto ascoltare ad un campione rappresentativo della gente comune un pezzo che conosco solo io il 90% mi risponde "ma che cosa è 'sta roba!" , posso fargli ascoltare anche un brano che non conoscono ma che ha avuto successo ma è lo stesso, la gente purtroppo non è pronta ad ascoltare cose nuove e fa fatica ad entrare nel mood. Anche se gli fai vedere delle cose eccezionali non riesce  a catalogarle e quindi ad apprezzarle, e Sanremo soffre proprio di questa difficoltà mentre ad esempio un reality si plasma in 3-4 mesi con canzoni già note, anche se riarrangiate e rinnovate, sicuramente delle belle cose  ma spesso fini a se stesse.
Il Festival deve essere la partenza verso traguardi futuri, quindi non un punto di arrivo ma un punto di partenza per molteplici progetti musicali, oggi questa funzionalità non è sfruttata e Sanremo si configura come un evento limitato alla comunicazione mediale e televisiva. Comunque Il vero problema del mondo della canzone è che oggi la gente fa fatica a recepire la musica, un grande fattore di crescita sarebbe quello di avere un pubblico attento ed in grado di comprendere la magnificenza del nuovo.  Perchè è vero che è difficile trovare il nuovo buono , ma comunque il pubblico dovrebbe essere, come negli anni settanta e ottanta, pronto a ricevere le novità. Considera che noi, quelli che hanno fatto la grande discografia,  cercavamo di arrivare sul mercato con delle proposte valide. All'epoca gli artisti, specialmente i nuovi, avevano la possibilità di esprimersi in un paio di anni dagli esordi. Oggi esce un disco e devi vendere subito  10.000 copie e pensare che una volta se vendevi 10.000 copie era un vero disastro.  Comunque la musica non è finita, è finito il mercato della musica.

Dimmi, tu hai fatto delle partecipazioni in Tv gia quando stavi con I Ragazzi della Via Gluck, come era la Rai all'epoca?

La Rai all'epoca era esclusivamente uno strumento promozionale, la gente pagava per partecipare ad un sabato sera. La musica leggera serviva esclusivamente per portare i personaggi in Tv,  si faceva la musica dal vivo solo in determinate circostanze ed il resto era preparato in playback e le trasmissioni vivevano di passaggi televisivi dove si promuovevano le novità dei cantanti, dei big, cioè il personaggio che aspirava ad andare al sabato sera al varietà con il Baudo di turno solo per promuovere il disco. Ti faccio l'esempio di Celentano: quando abbiamo fatto Susanna lui ha ritardato la pubblicazione del disco per uscire in contemporanea con Fantastico 5,  fece il numero in Tv con Heather Parisi e il disco ebbe un gran botto di vendite. D'altronde Adriano è un vero professionista e all'epoca i grandi artisti volevano i passaggi veri. Ora invece è la Tv che deve pagare, devo constatare che esiste oggi un problema riguardo la promozione della musica, perchè negli anni passati, quando i dischi si vendevano,  la Rai non è che spendesse tanto per avere questi personaggi, era anzi abituata a ricevere un compenso per la partecipazione. Oggi per avere certi personaggi bisognerebbe pagare somme enormi e il che è impossibile, il mercato ha deciso che questi personaggi devono essere pagati e allora loro stanno a casa e noi non abbiamo più i grandi personaggi in televisione.

Secondo te i talent show musicali sono più un bene od un male per il nostro contesto musicale.

Devo dire un bene, negli anni settanta e ottanta quasi tutte le persone che volevano cantare erano stonate, la maggior parte degli aspiranti cantautori erano dei poeti falliti che prendevano in mano la chitarra e piangevano sul microfono. Ma c'erano anche diverse eccellenze che sbocciavano in quel contesto di mediocrità. Poeti come De Gregori, De Andrè, grandi artisti che magari non hanno subito raggiunto il successo e devo dire che un grande talent scout è Gino Paoli.

I Bee Gees negli anni sessanta.


Effettivamente il talento nello scoprire i talenti di Gino Paoli si è manifestato già negli anni sessanta con i Bee Gees.

Gino aprì le edizioni Senza fine e produceva il gruppo inglese dei Casuals , lui aveva sempre avuto il pallino per le produzioni , infatti quando raggiunse Melis in Rca insieme a Gianfranco Reverberi voleva, dopo l'esperienza con la Ricordi, continuare a produrre e aprì la Senza fine, dedicandosi molto a questa attività imprenditoriale che aveva iniziato anni prima con i Sugar.  Ad un certo punto era convinto che il mercato discografico nazionale avesse ampi margini di crescita e si recò in Inghilterra, la musica inglese in quel momento era la musica del mondo e Gino era convinto che sarebbe rimasta sulla cresta dell'onda ancora per anni, si presentò quindi alla RSO di Robert Stigwood che in quel periodo stava già lavorando con Jesus Christ Superstar ed aveva sotto contratto un gruppo di ragazzini molto promettenti, I Bee Gees. Ebbene Gino si offrì di essere il rappresentante editoriale di questo gruppo per l'Italia affermando che Words  sarebbe stata un grande successo, era il primo a dirlo, Gino è stato uno dei primi a prevedere l'exploit dei Bee Gees, alla RSO sono rimasti basiti mentre Paoli scommetteva fiducioso sui quei ragazzi. Comunque gli fecero firmare un contratto editoriale come rappresentate in Italia per un catalogo che comprendeva i Bee gees, I Cream, Eric Clapton, Keith West e tutta la loro scuderia.

La cover dei Ragazzi della Via Guck, Vola,vola, vola.

Io conobbi  la Senza fine perchè ci fecero fare con I Ragazzi della Via Gluck una cover dei Bee Gees (I've Gotta Get a Message to You) rinominata Vola vola vola, la nostra versione uscì prima di quella di Mal (Pensiero d'amore) ma Adriano non  credette assolutamente a questa cosa e il disco rimase lì, dopo sei mesi la cantò Mal e divenne un successo incredibile, quella canzone apparteneva alle edizioni Senza fine che divenne progressivamente la rappresentante editoriale italiana più grande perchè si portò dietro anche la Apple music, la Pink floyd music e quasi tutte le più grandi compagnie editoriali inglesi ed americane, c'erano artisti del calibro di David Bowie ed i Queen, insomma delle cose spaventose ed il tutto grazie a Gino che ha visto oltre i suoi occhiali ed ha avuto anche il talento di prendere intorno a se delle persone che gli hanno procurato buoni business ed ha avuto inoltre anche il coraggio ed il merito di far diventare maestro a me  ed anche al maestro Vessicchio ed al maestro Pennino,  siamo tutti sue creature.

Gino Paoli all'epoca.


Volevo chiederti  se hai avuto esperienze di sonorizzazioni.

No, non ho mai fatto sonorizzazioni,  suonavo comunque con un gruppo di un capo orchestra che si chiamava Tony Spada che era stato il trombonista di Adriano in Stai lontana da me. Ci presero come band di accompagnamento in un varietà radiofonico che trasmetteva sia  prosa che  canzoni  ed avevano bisogno di qualcuno che inventasse qualche canzoncina per musicare i loro testi, bene, tra tutti i musicisti io ero il più piccolo, avendo solo quindici anni, eppure fui l'unico che riuscì a fare quel tipo di lavoro. E pensare che non ho mai firmato niente, ma non mi lamento perchè svolgendo varie mansioni  mi sono arricchito professionalmente. Ho fatto anche sigle per cartoni animati, anche se quando le ho fatte oramai l'epoca d'oro delle sigle era terminata, comunque ancora oggi ogni tanto mi capita di fare una sigla, ad esempio ultimamente ho lavorato per un programma di Maurizio Costanzo, mi hanno chiamato facendomi vedere un immagine della scenografia ed ho subito capito cosa dovevo fare, alla fine Maurizio è rimasto meravigliato, si è chiesto come avevo fatto a capire quello che lui voleva, forse sono un poco veggente, il mio primo intuito è quello giusto, probabilmente è un fatto d'istinto.
Ho lavorato tantissimo e penso di ritenermi un grande lavoratore ed ad oggi non so quando smetterò, comunque una cosa è certa, io non mi sono mai sentito arrivato ed anzi sono sempre ripartito da zero, in ogni produzione sono pronto ad imparare e ti posso assicurare che questa cosa è fantastica!  Oggi sono uno dei pochi tra quelli che opera in Tv che ha una lunga esperienza discografica e soprattutto che ha una grande preparazione tecnologica, riesco tranquillamente  da solo ad impostarmi il computer essendo in pratica anche un programmatore.



E questo per un musicista della tua generazione non è affatto scontato, è sicuramente un sintomo di voglia di ricercare, di curiosità, di apertura.

Ho cominciato con l'orchestra, poi ho conosciuto i Fairlight e le altre tecnologie sempre più interessanti, considera che negli anni settanta sono stato anche a Londra ad imparare.

Oggi hanno difficoltà con l'analogico anche all'estero, mi dicevano che addirittura negli States si  fatica a trovare qualcuno capace di microfonare una batteria.

E' vero perche manca la cultura, io lavoro insieme ad un fonico, quel famoso fonico  con cui lavoro da una vita e che ha qualche anno più di me, ebbene lui ha l'anima rock ed i microfoni li sa mettere, saper mettere i microfoni spesso significa non dover toccare il banco e filtrare pochissimo , con le chitarre bisogna saper mettere i microfoni evitando di filtrare, questo anche succede anche con i violini, se tocchi i filtri quando registri i violini sei morto, li rovini!

E' un vero mestiere e bisogna saperlo fare.